Il DS in Italia svolge un ruolo di governance strategica in un modello di scuola basato sul “classicismo” di derivazione latina.
Considerevoli cambiamenti sono in atto per accelerare la transizione e la realizzazione di importanti riforme attraverso i finanziamenti PNRR e rendere la scuola italiana in grado di rispondere alle criticità del nostro sistema di istruzione e formazione.
Per comprendere le sfide che ci attendono è importante conoscere il contesto europeo.
Esistono quattro modelli educativi in Europa:
• Scandinavo: scuola unica;
• Anglosassone: scuola polivalente;
• Germanico: indirizzi separati;
• Latino e mediterraneo: tronco comune.
I modelli educativi. Tipo scandinavo: la scuola unica
Questo modello (presente in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) si pone come obiettivo prioritario la maggior eguaglianza di opportunità, fornendo a tutti i bambini la stessa preparazione fino ai 16 anni di età, cioè per tutto l’obbligo scolastico.
Si tratta di una scuola unica nel senso che tutti gli studenti, nella stessa scuola, ricevono il medesimo insegnamento, da un gruppo di docenti che, per quanto possibile, rimane lo stesso per tutto il periodo.
In questo modo si cerca di assicurare la massima continuità pedagogica: solo alla fine del percorso è possibile scegliere qualche disciplina diversa e vengono date valutazioni (da 1 a 5).
Inoltre, si vuole ottenere che tutti i ragazzi, al termine, raggiungano le stesse conoscenze di base che sono connesse, appunto, al significato dell’obbligo scolastico: i saperi necessari ad una cittadinanza piena, per potersi inserire in modo idoneo in una società democratica.
In quest’ottica le votazioni (e le conseguenti bocciature) non hanno significato: non vi è insuccesso scolastico e i risultati vanno nel senso di una buona uguaglianza di acquisizioni scolastiche generalizzate, con livelli qualitativi elevati; sembra, perciò il modello più idoneo a realizzare una scuola «giusta ed efficace», come del resto confermano le comparazioni internazionali.
I modelli educativi. Tipo anglosassone: la scuola polivalente
È il modello dell’Inghilterra, del Galles, dell’Irlanda del Nord, della Scozia e, con qualche differenza, della Repubblica d’Irlanda.
La Comprehensive School (scuola polivalente) invece di unificare primario e secondario inferiore, ricerca una continuità tra quest’ultimo e il secondario superiore, con programmi che si possono scegliere da parte di allievi e famiglie all’interno del National Curriculum.
In Inghilterra permane un piccolo numero di scuole tradizionali, che mantengono la vecchia distinzione fra Grammar Schools, Modern Schools e Techical Schools, alle quali accedono i bambini delle “famiglie bene”. Il sistema del tutorato costituisce il principale supporto al miglior funzionamento, in termini di eguaglianza e qualità del sistema.
Il docente tutor guida l’allievo nel suo percorso scolastico, si preoccupa che l’insegnamento sia differenziato e perfino individualizzato ed aiuta i bambini in difficoltà (in Scozia vi è la figura del docente itinerante, che assicura sostegno aiutando colleghi e allievi che ne hanno bisogno). Anche in questo caso, pur procedendo a valutazioni degli allievi, non sono previste ripetenze: pur con una struttura diversa vi è un’“aria di famiglia” con il modello scandinavo, che deriva probabilmente dalla comune religione protestante (Irlanda esclusa, ovviamente).
I modelli educativi. Tipo germanico: gli indirizzi separati
Questo modello, presente in Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e, con differenze, in Belgio, mantiene la tradizionale suddivisione in tre indirizzi. Negli ultimi anni alcuni paesi hanno cominciato a preoccuparsi di una suddivisione degli studenti così precoce (all’inizio della secondaria inferiore, come era in Italia prima del 1962) e cercano di sviluppare un sistema di passerelle fra gli indirizzi. L’opzione fra indirizzi differenziati rimane comunque il fondamento di questo modello, che ha in Germania la sua massima espressione.
Il sistema educativo tedesco
Il bambino tedesco, entrato nella scuola a 6 anni, dopo 4 anni di studio, a soli 10 anni deve scegliere che strada intraprendere, anche se, teoricamente, sarebbero ancora possibili delle passerelle fra i 10 e i 12 anni di età.
Oltre un terzo accede alla formazione corta (Hauptschule), seguita da una preparazione professionale che introduce al lavoro, con una alternanza con periodi di studio, fino ai 18 anni (è il sistema duale, tanto ammirato in Italia, ma, oggi, messo in discussione nella stessa Germania, perché, con la crisi economica succeduta all’unificazione, le imprese non sono più in grado di offrire abbastanza stages formativi e la disoccupazione è molto aumentata).
Un quarto dei ragazzi va verso una scuola media (la Realschule), che permette di accedere ad una formazione superiore, però solo di tipo non universitario.
Un poco più di un quarto degli studenti si iscrive alla scuola secondaria generale (il Gymnasium), per seguire un curricolo che lo condurrà agli studi universitari.
La logica del sistema educativo tedesco
La logica di questo modello è opposta a quella dei sistemi scandinavi: in questi ultimi si vuole portare tutti i ragazzi allo stesso livello a 16 anni, con ancora tutte le strade aperte, mentre in Germania l’orientamento molto precoce porta ad una situazione che, se dà assicurazioni sul futuro, le fornisce con modalità fortemente condizionate dall’estrazione sociale.
Certo l’insuccesso scolastico non costituisce un problema, visto che gli studenti vengono quasi subito suddivisi in livelli differenziati, partecipando a scuole che richiedono prestazioni molto diverse.
L’autonomia scolastica, nonostante il decentramento strutturale derivante dallo Stato federale, non è molto ampia: il centralismo dei Landers (e la eventuale costruzione di un’Europa delle regioni corre appunto questo rischio), non sembra lasciare molto spazio alla libertà di gestione delle singole scuole.
L’ultima indagine comparativa sui risultati dei ragazzi quindicenni ha visto, per gli studenti tedeschi, un risultato non solo inferiore alla media, ma con differenziazioni fra i migliori e i peggiori molto ampie: poca qualità e ancor minore equità.
I modelli educativi. Tipo latino e mediterraneo: il tronco comune
Quest’ultimo modello, presente in Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, sembra un tentativo di combinare i precedenti, in quanto ha scelto la soluzione di realizzare una scuola unica per la prima parte della secondaria, ma senza una effettiva pedagogia differenziata (come in Scandinavia) e senza il tutorato (come nei paesi anglosassoni). Invece rimane in questa tradizione (sono tutti paesi cattolici tranne la Grecia, ortodossa) un fondamentale “classicismo”, che li rende molto attenti all’acquisizione di conoscenze, con esami e ripetenze. In alcuni paesi, ad esempio in Francia, rimangono anche degli equivalenti parziali degli indirizzi, con classi di livello, scelte di lingue straniere, sistemi di opzione.
I Paesi latini sono generalmente più sensibili all’insuccesso scolastico contro il quale lottano e per parecchie ragioni: democratizzazione più tardiva e/o condizioni economiche meno favorevoli per certi Paesi, ma soprattutto volontà di portare l’insieme della popolazione scolastica al livello di conoscenza più alto possibile. Sono forse i Paesi che si trovano più a disagio nel loro sistema educativo poiché, sebbene molto diversi tra loro, perseguono l’ideale egualitario della scuola unica scandinava, mentre per tradizione pedagogica, hanno spesso un’uniformità di metodi e delle esigenze che si traducono in frequenti controlli delle conoscenze, in vincoli di esami e di voti e in una maggiore consuetudine di ripetenza.
Il DS e la sfida dell’innovazione
Pertanto, il DS necessariamente deve coinvolgere gli organi collegiali per sollecitare innovazione didattica e un piano di miglioramento teso ad arginare la dispersione scolastica che, in Italia, si assesta è aumentata notevolmente. Se si sommano i dati degli ELET – Early Leaving from Education and Training – e quelli sulla dispersione implicita emerge infatti che il 23% dei giovani della fascia d’età 18-24 anni ha lasciato la scuola prima di effettuare l’esame di Stato, oppure l’ha terminata senza acquisire competenze di base minime (nel 2019 erano il 22,1%). Questo significa che quasi uno studente su quattro ha abbandonato la scuola o l’ha terminata senza acquisire le competenze di base minime.
[Dirigente scolastico prof.ssa Paola Palmegiani]