A poche settimane dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 131 del 16 settembre 2024 (Salva Infrazioni) che prevede il riconoscimento di un indennizzo – compreso tra 4 e 24 mesi – per il personale docente e ATA che ha prestato servizio per più di 36 mesi su posti vacanti e disponibili, la Comunità Europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per abuso nell’utilizzo di contratti a termine.
Mancata progressione salariale (docenti) e abuso dei contratti a termine (ATA)
La Commissione Europea ha deciso di portare l’Italia di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazioni prolungate della normativa comunitaria in materia di lavoro a tempo determinato nel settore dell’istruzione. Secondo le autorità europee, il Paese non ha preso provvedimenti sufficienti per contrastare l’uso reiterato di contratti a termine e le disparità di trattamento nei confronti del personale scolastico, sia docente che ATA.
Nel dettaglio, la Commissione contesta due aspetti centrali: da un lato, la mancata progressione salariale per gli insegnanti precari, che si trovano in una situazione di svantaggio rispetto ai colleghi di ruolo, il cui stipendio cresce con l’anzianità. Dall’altro, l’abuso dei contratti a termine per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), un problema che l’Italia non ha risolto con misure efficaci.
Il procedimento d’infrazione ha avuto inizio con una lettera formale di diffida inviata a luglio 2019, seguita da un ulteriore richiamo nel dicembre 2020 e da un parere motivato emesso nell’aprile 2023.
Nonostante questi passaggi, le risposte fornite dall’Italia non sono state considerate sufficienti, portando la Commissione a deferire il caso alla Corte di Giustizia. Alla luce di questo provvedimento, non è da escludere che in futuro potrebbero essere valutate ulteriori azioni riguardanti l’abuso di contratti a termine e le discriminazioni nei confronti di altri settori del pubblico impiego.
La carenza di docenti
In Italia sono presenti 943.000 insegnanti. Di questi, stando al Ministero dell’Istruzione e del Merito, i docenti precari sarebbero circa 165.000.
Mentre i sindacati stimano una cifra che supera i 250.000.
Se, invece, guardiamo all’età media di immissione in ruolo, la stessa si attesta intorno ai 45 anni, collocando il corpo docente italiano tra i più anziani d’Europa. Oltre il 50% degli insegnanti ha, infatti, superato i 50 anni, una percentuale nettamente superiore alla media OCSE, che si ferma al 37%.
Il dato che, tuttavia, fa riflettere è che, a fronte di un numero significativo di insegnanti precari, le scuole italiane devono affrontare una crescente carenza di personale, specialmente nelle materie scientifiche, ma anche in ambiti come l’italiano e l’insegnamento nelle scuole primarie.
Nei giorni scorsi, inoltre, sollecitata da Alessio Giaccone, docente precario idoneo al concorso a cattedra del 2020 (che aveva manifestato le proprie perplessità per il fatto che il governo italiano ha deciso di privilegiare i vincitori del concorso PNRR, nonostante ci siano già circa 30.000 docenti in attesa di un contratto a tempo indeterminato), la Commissione Europea aveva chiarito di non avere il potere di imporre specifiche modalità di assunzione agli Stati membri e che la decisione su come gestire le assunzioni dei docenti rimane una competenza nazionale.
I commenti: Valditara, Anief, Uil e Cgil
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara
“Prendo atto della decisione della Commissione europea che ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia europea perché si riducano le condizioni per il ricorso dei contratti a termine e affinché i docenti precari abbiano gli stessi scatti di anzianità degli insegnanti di ruolo, in nome di una piena parificazione dei diritti.
Abbiamo sottoposto da tempo alla Commissione la necessità di rivedere il sistema di reclutamento dei docenti italiani previsto da un’intesa fra la Commissione e il precedente governo, superando le rigidità della riforma PNRR che creano un’oggettiva discriminazione a danno dei docenti precari e non tengono conto dei numeri del precariato che sono cresciuti negli scorsi anni.
Attendiamo quindi fiduciosi che la parificazione dei diritti possa essere estesa ora anche alle forme di reclutamento”.
Il Presidente nazionale di Anief Marcello Pacifico
“Dopo dieci anni dalla prima sentenza della Corte di Giustizia Europea, la Commissione Europea deferisce nuovamente l’Italia alla Corte a seguito delle denunce presentate da Anief presso le istituzioni europee, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali e il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
Questo deferimento, supportato anche da diverse sentenze ottenute dai legali Anief sulla discriminazione dei precari rispetto al personale di ruolo, deve ora portare a una soluzione concreta.
Anief ha proposto emendamenti al decreto Salva infrazioni, che dovranno essere approvati. Tali emendamenti prevedono un doppio canale di reclutamento per prevenire l’abuso dei contratti a termine e il principio di non discriminazione e parità di trattamento tra personale precario e di ruolo, oltre al raddoppio della sanzione per l’abuso dei contratti a termine, già previsto dal decreto.
Anief continuerà a battersi contro il precariato e l’abuso dei contratti a termine, che attualmente riguarda oltre 400.000 docenti e amministrativi con più di 36 mesi di servizio“.
Il Segretario generale della Uil Scuola Rua Giuseppe D’Aprile
“Ancora una volta la Corte Europea ha chiesto all’Italia di intervenire per il personale precario sulla progressione retributiva incrementale basata sui periodi di servizio a tempo determinato. Si tratta di una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato, che invece hanno diritto a tale progressione retributiva.
Inoltre, come già successo per il personale docente anche grazie a varie sentenze su ricorsi patrocinati dalla UIL Scuola che la stessa si era pronunciata in merito alla reiterazione dei contratti a termine, finalmente la Corte ha riconosciuto come non può esservi alcuna discriminazione tra il personale ATA assunto a tempo determinato e indeterminato sulla base dei periodi di servizio lavorati.
Un chiaro richiamo al Governo. Ora urge un intervento legislativo per rispondere all’Europa. Da tempo promuoviamo iniziative legali che hanno rappresentato anche una forma di denuncia-pressione nei confronti dei Governi che finora si sono mostrati inadempienti e insensibili, tanto da determinare il deferimento da parte della Corte europea.
Il Governo deve intervenire per ripristinare la legalità e per coprire tutti i posti disponibili – su cui si reiterano le supplenze per più anni testimoniate dai numeri elevati di precari – con contratti a tempo indeterminato per garantire stabilità al personale interessato, migliorare la funzionalità delle scuole e contribuire a mettere in moto l’economia del Paese che passa inevitabilmente dalla stabilità del lavoro”.
La Segretaria generale della Flc-CGILGianna Fracassi
“Nel prossimo anno scolastico nel nostro Paese ci saranno 250 mila precari tra personale docente e ATA. Questa è la misura del fallimento dei governi che si sono succeduti e che hanno consentito e continuano a consentire che 1 lavoratore su 4 nella scuola sia a tempo determinato. Bisogna agire molto rapidamente e la procedura di infrazione non fa altro che certificare una condizione che come FLC CGIL abbiamo sollevato in questi anni.
Le chiacchiere su questo stanno a zero. Prima di tutto occorre immettere in ruolo tutti i docenti e su tutti i posti vacanti e disponibili, e fare lo stesso per il personale ATA; è necessario poi stabilizzare i posti di sostegno che sono oltre 130 mila e procedere rapidamente a garantire delle prospettive certe a chi oggi tiene in piedi la scuola.
Inoltre, sul versante salariale, il governo ha fatto poco o niente. Ha banalmente deciso di non attribuire dieci punti percentuali di inflazione a stipendi già molto bassi. Da questo punto di vista, lo diremo al ministro nell’incontro previsto la prossima settimana, queste risorse per il rinnovo del contratto non solo sono insufficienti per procedere a un’equiparazione tra personale a tempo determinato e a tempo indeterminato, ma non contribuiscono neppure a rispondere all’inflazione, da un lato, e valorizzare gli stipendi dall’altro”.