Una ricerca condotta da Thorn su 1.200 giovani statunitensi rivela che circa il 6% del campione dichiara di essere stato vittima in prima persona di deepfake a sfondo sessuale. Inoltre, un giovane su sei, tra i 13 e i 20 anni, afferma di conoscere personalmente qualcuno che è stato vittima di questa forma di violenza digitale. Si tratta di contenuti realizzati a partire da fotografie reali, manipolate tramite strumenti di intelligenza artificiale, per simulare nudità mai esistite.
L’Impatto Emotivo e la Percezione del Danno
L’analisi dei dati della ricerca di Thorn evidenzia come l’84% degli adolescenti e dei giovani consideri i deepfake a sfondo sessuale come contenuti che provocano un danno concreto e tangibile alla persona rappresentata.
Un elemento di particolare rilievo è che molti giovani non operano una distinzione netta tra la diffusione non consensuale di un’immagine intima reale e la condivisione di un contenuto sintetico.
Entrambe le azioni sono percepite come una grave violazione della privacy e della dignità personale, con un impatto psicologico spesso sovrapponibile.
Tale percezione sottolinea l’urgenza di percorsi educativi che affrontino la violenza digitale in tutte le sue forme, senza minimizzare la gravità dei contenuti generati artificialmente, i quali possono avere conseguenze devastanti sulla reputazione e sul benessere emotivo delle vittime.
MOTIVAZIONI DEL DANNO PERCEPITO | PERCENTUALE DI GIOVANI |
Effetto emotivo e psicologico sulla vittima | 31% |
Impatto negativo sulla reputazione | 30% |
Le immagini vengono scambiate per vere | 25% |
La Creazione di Deepfake a Sfondo Sessuale: Autori e Motivazioni
Una parte della ricerca di Thorn sul deepfake si concentra sugli autori di tali contenuti.
Il 2% degli intervistati ammette di aver impiegato tecnologie di intelligenza artificiale per generare immagini pornografiche di altre persone. Un dato allarmante è che in circa un terzo dei casi, le immagini create raffiguravano coetanei minorenni.
Le motivazioni dichiarate dagli autori sono eterogenee e spaziano dalla curiosità sessuale alla pressione esercitata dal gruppo dei pari, fino a sentimenti di vendetta o alla semplice percezione dell’atto come un “gioco” privo di conseguenze reali.
La scoperta di queste tecnologie avviene principalmente attraverso canali digitali facilmente accessibili ai più giovani, un fattore che rende la prevenzione un compito ancora più complesso per famiglie ed educatori.:
- Social network: 71%;
- Motori di ricerca: 53%;
- Link diretti condivisi da altri: 25%.
La Diffusione dei Contenuti e le Reti di Condivisione
La creazione di questi materiali rappresenta solo il primo passo di un processo che trova il suo culmine nella condivisione. Oltre la metà di coloro che hanno generato deepfake a sfondo sessuale dichiara di averli successivamente diffusi.
Le reti di condivisione sono prevalentemente circoscritte all’ambiente sociale e relazionale dei giovani, un aspetto che amplifica il danno potenziale per la vittima, la quale si trova esposta all’interno della propria comunità scolastica o amicale.
La condivisione diretta con il soggetto ritratto, praticata dal 26% degli autori, configura una forma di molestia esplicita, volta a umiliare e intimidire.
La facilità con cui questi contenuti possono circolare online rende il loro contenimento estremamente difficile e richiede un intervento educativo mirato a responsabilizzare i giovani sull’impatto delle loro azioni digitali.
CANALI DI CONDIVISIONE | PERCENTUALE DEGLI AUTORI |
Amici o persone della scuola | 30% |
Persone conosciute online | 29% |
Il soggetto ritratto nell’immagine | 26% |
Le Reazioni delle Vittime: Richiesta di Aiuto e Barriere al Silenzio
Di fronte a una violazione di tale portata, la reazione delle vittime è un indicatore essenziale per comprendere le dinamiche di supporto. L’indagine rivela che una porzione significativa delle vittime (84%) ha intrapreso azioni per cercare un aiuto.
Il 60% ha fatto ricorso a strumenti online, come il blocco degli utenti o la segnalazione dei contenuti alle piattaforme, mentre il 57% ha cercato supporto offline, rivolgendosi a figure di riferimento come genitori, amici, personale scolastico o forze dell’ordine.
Tuttavia, il 16% non ha intrapreso alcuna azione, un silenzio spesso dettato da vergogna, paura di non essere creduti o timore di ulteriori ritorsioni.
Emerge una differenza generazionale: quasi un minorenne su due tende a parlarne con un adulto, mentre tra i maggiorenni prevale una maggiore reticenza. Tale dato evidenzia il ruolo determinante della scuola e della famiglia nel creare un ambiente di fiducia dove le vittime si sentano sicure di denunciare.