Divieto social under 16 anni: una legge che vuole proteggere i più giovani ma che, paradossalmente, rischia di allontanarli ancora di più dagli adulti. In Australia è appena entrata in vigore una norma che vieta l’uso dei social network ai minori di 16 anni, imponendo alle piattaforme di verificare rigorosamente l’età degli utenti. Multe salatissime per chi non rispetta la regola, applausi dal mondo dei genitori, ma una rabbia crescente tra gli adolescenti.
Secondo l’analisi della ricercatrice Catherine Page Jeffery, pubblicata su The Conversation, ciò che molti ragazzi stanno vivendo non è una semplice protesta per “il telefono tolto”, ma un vero e proprio lutto sociale. Perché quando un adolescente perde l’accesso ai social, non perde solo un’app, ma un intero spazio di relazione.
Divieto social under 16: manca “il terzo spazio”
Per gli adulti, i social sono spesso un passatempo o uno strumento di lavoro. Per i ragazzi, invece, sono il “terzo spazio” — quello che un tempo era il cortile, la piazza, il muretto del pomeriggio. È lì che gli adolescenti costruiscono amicizie, identità, appartenenza.
Ecco perché il divieto social under 16 viene vissuto come una perdita profonda. Non è una questione di schermi, ma di connessioni: togliere i social significa togliere ai ragazzi il luogo in cui esistono agli occhi dei coetanei.
Jeffery parla di “lutto non convalidato”: una sofferenza ignorata dagli adulti, che rispondono con frasi come “È solo internet” o “Fatti una passeggiata”. Ma negare la legittimità di quel dolore non fa che creare una distanza educativa più profonda.
Molti adolescenti, infatti, non accettano il divieto: trovano scappatoie, creano account falsi, usano i profili degli amici. Così, invece di aumentare la sicurezza, la legge rischia di spingere la socialità dei minori nell’ombra, fuori da ogni controllo.
Dal divieto social under 16 al dialogo: l’unica via possibile
Il vero tema, dunque, non è se vietare o meno i social, ma come educare i giovani a usarli. Jeffery invita genitori e insegnanti a cambiare prospettiva: smettere di parlare solo di “divieti” e iniziare a costruire competenze digitali ed emotive.
Le regole servono, ma da sole non bastano. Un adolescente arrabbiato non ha bisogno di punizioni, ma di adulti capaci di ascoltare la sua rabbia e trasformarla in dialogo.
Bisogna riconoscere che i social rispondono a bisogni reali — appartenenza, visibilità, confronto — e offrire alternative concrete offline: sport, musica, tempo di qualità, spazi di aggregazione reale.
La lezione che arriva dall’Australia è chiara: vietare non educa, ascoltare sì. Nessuna legge potrà sostituire la presenza empatica di un adulto che sa accompagnare, non solo controllare.


