Dal prossimo settembre 2025, le mense scolastiche di Bologna offriranno una nuova opzione alimentare Halal, pensata per rispondere alle esigenze religiose delle famiglie musulmane.
L’annuncio è stato dato da Veronica Ceruti, dirigente del Dipartimento Educazione del Comune, che ha spiegato come i genitori potranno selezionare l’opzione attraverso il portale riboscuola, autenticandosi con lo SPID.
La dieta Halal si aggiunge a un’offerta già diversificata, che include menù vegetariani, vegani e senza carne né pesce, offrendo così maggiore pluralismo alimentare nelle scuole pubbliche.
Tuttavia, a differenza delle precedenti scelte, l’introduzione della dieta islamica ha provocato una dura reazione politica, trasformandosi in un caso nazionale.
Cos’è la dieta Halal e perché è importante per le famiglie islamiche
Il termine Halal in arabo significa “lecito” e, in ambito alimentare, indica cibi conformi alla legge islamica (sharia). Sono vietati, ad esempio, il maiale e l’alcol, mentre la carne deve essere macellata seguendo un preciso rituale religioso.
Per molte famiglie musulmane, rispettare questi precetti è parte integrante dell’identità e della vita quotidiana.
L’introduzione del menù Halal nelle scuole pubbliche italiane, come già accade in altri Paesi europei, pone una questione culturale complessa: come coniugare inclusione religiosa, neutralità laica e coesione sociale in un contesto sempre più multiculturale?
L’ira della destra: “Sottomissione culturale” e “discriminazione al contrario”
Dopo l’annuncio del menù Halal nelle scuole bolognesi, le critiche non si sono fatte attendere. La Lega ha parlato di “resa all’integralismo religioso”, accusando il Comune di Bologna, a guida centrosinistra, di svendere i valori laici della scuola pubblica.
Anche Fratelli d’Italia è intervenuta duramente, annunciando un’interrogazione urgente alla Commissione europea e accusando l’amministrazione di non garantire equità tra studenti di diverse fedi, chiedendo ad esempio perché non esistano opzioni kosher o dedicate ai cristiani.
Per i detrattori, l’iniziativa rappresenta un gesto ideologico mascherato da inclusione, che secondo loro privilegerebbe una comunità religiosa a discapito di altre.
Tuttavia, da parte del Comune la misura viene rivendicata come un atto di rispetto culturale e diritto alla diversità, coerente con i principi costituzionali di uguaglianza.
Opinioni divise: tra tutela delle minoranze e difesa della laicità
L’introduzione del menù Halal nelle mense scolastiche di Bologna ha acceso, dunque, un vasto dibattito pubblico, con pareri favorevoli e contrari che riflettono due visioni opposte del ruolo della scuola e dell’integrazione culturale.
I pareri favorevoli
Per i sostenitori della misura, si tratta di un atto di civiltà e inclusione. In un contesto scolastico sempre più multiculturale, dare la possibilità agli studenti musulmani di mangiare pasti conformi alla propria fede significa garantire pari dignità e diritti.
L’iniziativa viene paragonata a quelle già esistenti in altri Paesi europei, dove le mense scolastiche offrono da tempo opzioni Halal o Kosher, nel rispetto delle libertà religiose.
Molti genitori e associazioni per i diritti civili sottolineano che il menù Halal non è imposto, ma semplicemente disponibile su richiesta, e quindi non limita le scelte altrui.
Anzi, rappresenta un modello di convivenza pluralista, in cui lo Stato non impone un’unica cultura, ma riconosce le diversità come valore.
Le critiche e le perplessità
Sul fronte opposto, le critiche arrivano principalmente da esponenti della destra politica, ma anche da alcuni ambienti laici.
Secondo i pareri contrari, offrire un menù Halal potrebbe trasformarsi in una forma di legittimazione religiosa all’interno di un’istituzione pubblica, minando la neutralità dello Stato e della scuola.
C’è chi parla di “precedente pericoloso”, temendo che questa apertura alimenti rivendicazioni confessionali sempre più marcate.
Altri denunciano una presunta asimmetria: si accontenterebbe una sola comunità religiosa, senza prevedere lo stesso per altre (come l’alimentazione kosher per gli studenti ebrei o specifiche richieste da famiglie cristiane praticanti).
Il dibattito, insomma, è tutt’altro che chiuso e solleva questioni più ampie: fino a che punto la scuola deve adattarsi alle istanze religiose? E come bilanciare inclusione e laicità, diritto individuale e coesione collettiva?