La recentissima inchiesta aperta nei confronti di una dirigente scolastica – accusata di non aver segnalato atti vandalici, risse tra studenti e interruzioni di pubblico servizio, gestendo tutto «in casa» anziché rivolgersi alle forze dell’ordine – riporta sotto i riflettori un tema di grande rilievo per il sistema educativo: l’obbligo di denuncia.
Tra normative penali, disposizioni sul pubblico impiego e codici deontologici, il confine tra una legittima autonomia gestionale e la responsabilità penale di un dirigente è spesso labile.
Ricostruiamo i principali profili giuridici, alla luce delle fonti ufficiali e dei casi concreti, per chiarire quando un’omissione può trasformarsi in un illecito perseguibile.
I nuovi contorni dell’obbligo di denuncia
Secondo l’ordinamento italiano, dirigenti scolastici, insegnanti e tutto il personale ATA che rivestono la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio non possono sottrarsi all’obbligo di denunciare reati perseguibili d’ufficio di cui vengano a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni.
L’art. 361 del codice penale stabilisce che il pubblico ufficiale che «omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni» rischia una sanzione pecuniaria da 30 a 516 euro.
Lo stesso obbligo, con pene da 15 a 250 euro, grava sugli incaricati di pubblico servizio (art. 362 del codice penale).
A livello procedurale, l’art. 331 del codice di procedura penale prescrive che la denuncia vada presentata «senza ritardo» e preferibilmente per iscritto, anche quando non sia subito identificabile l’autore del fatto: questo per evitare che la mancata tempestività ostacoli l’accertamento giudiziario.
Negli ultimi anni, non sono mancati casi concreti: nel 2016, in un istituto della provincia di Ravenna, la dirigente era finita nel registro degli indagati per non aver immediatamente segnalato una rissa tra studenti, dando avvio a un’ispezione da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Conseguenze penali e disciplinari
La mancata denuncia di reati perseguiti d’ufficio – come il danneggiamento di beni pubblici, le lesioni personali gravi, l’interruzione di pubblico servizio o semplici risse – non rimane sulla carta. Le possibili ricadute si articolano su più livelli:
- Sanzioni penali (articoli 361 e 362 del codice penale): multe da poche decine a qualche centinaio di euro per omissione o ritardo nella denuncia, anche in assenza di dolo specifico, purché vi sia consapevolezza del fatto.
- Profili disciplinari (D.Lgs. 165/2001 – Testo Unico sul pubblico impiego): sono previste sanzioni disciplinari, fino alla destituzione, per i dirigenti che non rispettino i doveri di legge nell’esercizio delle loro funzioni, inclusa la mancata segnalazione di fatti penalmente rilevanti.
- Ricadute sulla sicurezza e sul clima scolastico: la gestione «interna» di atti violenti o vandalici può compromettere il diritto allo studio e mettere a rischio la tutela dei minori, accentuando il senso di impunità e indebolendo il ruolo deterrente delle istituzioni.
Il ruolo del DS
Il ruolo del dirigente scolastico, dunque, non è solo amministrativo o organizzativo, ma investe anche la dimensione penale e etica: restare in silenzio, di fronte a reati perseguibili d’ufficio, significa esporsi a sanzioni multiple e indebolire la fiducia di famiglie e territorio.
La collaborazione tempestiva con le forze dell’ordine non è un limite alla gestione autonoma dell’istituto, bensì un pilastro imprescindibile per garantire legalità, sicurezza e serenità in ogni comunità scolastica.