I Bisogni Educativi Speciali (BES) definiscono il vasto insieme di difficoltà – temporanee o permanenti – di apprendimento che un alunno può incontrare durante il proprio percorso di formazione e che richiedono una didattica personalizzata. La scuola italiana, con la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, ha tracciato un percorso chiaro per l’inclusione. Il nuovo quadro normativo sposta, infatti, il focus dalla certificazione alla personalizzazione del percorso formativo, affinché ogni studente possa esprimere il proprio potenziale attraverso strumenti e strategie educative su misura. E questa Guida si propone come uno strumento completo e imprescindibile per orientarsi tra normativa e strategie didattiche inclusive.
1. Introduzione ai Bisogni Educativi Speciali (BES)
1.1. Cosa significa BES? Una definizione chiara e accessibile
L’acronimo BES, che sta per Bisogni Educativi Speciali, identifica un’area molto ampia di esigenze educative.
In particolare, questa categoria non si limita alle disabilità certificate, ma include qualsiasi difficoltà evolutiva di apprendimento che uno studente può incontrare nel suo percorso scolastico.
Tali difficoltà possono avere carattere permanente oppure transitorio, a causa di fattori fisici, biologici, fisiologici o anche psicologici e sociali.
L’introduzione del concetto di BES ha segnato un importante cambiamento di prospettiva per la scuola italiana.
L’attenzione si sposta dal deficit dello studente alla necessità di una risposta educativa su misura.
Il principio di fondo è che ogni alunno è unico e possiede uno stile di apprendimento specifico; la scuola, di conseguenza, ha il compito di personalizzare l’azione didattica, in modo da rimuovere gli ostacoli e garantire a tutti il pieno successo formativo, in un’ottica di reale inclusione.
1.2. Breve storia e evoluzione del concetto di BES in Italia
Il percorso verso una scuola inclusiva in Italia ha radici profonde, che testimoniano un’evoluzione culturale e normativa significativa.
Inizialmente, il sistema scolastico si basava su un modello di “integrazione”, focalizzato sull’inserimento dell’alunno con disabilità certificata all’interno della classe comune.
Questo approccio, sebbene innovativo per l’epoca, si concentrava principalmente sull’adattamento del singolo studente al contesto esistente.
La vera svolta si è avuta con il passaggio al modello dell'”inclusione”, un paradigma molto più ampio che non riguarda solo gli alunni con disabilità.
L’inclusione sposta l’attenzione dal singolo individuo all’intero contesto classe.
Di conseguenza, è la scuola stessa che deve modificarsi per accogliere e valorizzare le differenze di tutti, con un superamento dell’approccio basato unicamente sulla certificazione medica.
In quest’ottica, ogni studente, con le sue peculiarità, diventa una risorsa per la comunità.
1.3. A chi si rivolge questa guida: genitori, insegnanti e studenti
Questa guida sui Bisogni Educativi Speciali è uno strumento pensato per l’intera comunità educante.
Si rivolge ai docenti e ai dirigenti scolastici, ai quali offre un quadro normativo aggiornato e strumenti operativi per la progettazione di una didattica realmente inclusiva.
Al tempo stesso, è un punto di riferimento per i genitori, che qui possono trovare risposte chiare sui diritti, sulle procedure e sulle modalità più efficaci per collaborare con la scuola nella definizione del percorso formativo dei propri figli.
Sebbene non si rivolga direttamente a loro, gli studenti sono i beneficiari finali di questo lavoro: una scuola più preparata e consapevole è la prima garanzia per il loro successo.
Dalla normativa al Piano Didattico Personalizzato (PDP), dalle strategie alle figure di supporto, ogni sezione è costruita per orientare e supportare l’azione di tutti i protagonisti dell’inclusione.
2. Il Quadro Normativo di Riferimento per i BES
2.1. La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012: il punto di svolta
La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, intitolata “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica“, rappresenta una pietra miliare nella normativa scolastica italiana.
Con questo documento, il Ministero dell’Istruzione ha esteso in modo significativo il concetto di svantaggio scolastico, che ora non si limita più alle sole situazioni di disabilità certificata (Legge 104/92) o ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (Legge 170/2010).
La direttiva ha, infatti, introdotto una visione più ampia, che riconosce formalmente anche le difficoltà derivanti da svantaggi socioeconomici, linguistici o culturali.
Il punto chiave del provvedimento è l’affermazione del diritto di ogni studente a una didattica personalizzata, anche su base temporanea.
In questo modo, la scuola acquisisce la facoltà di attivare percorsi specifici e strumenti come il Piano Didattico Personalizzato (PDP) per tutti gli alunni che ne manifestino la necessità, sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche.
2.2. Le Circolari Ministeriali successive e le note di chiarimento
In seguito alla Direttiva del 2012, il Ministero dell’Istruzione ha emanato una serie di provvedimenti per fornire alle scuole indicazioni operative concrete.
Tra questi, assume un’importanza centrale la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013.
Si tratta, nello specifico, di un documento che ha chiarito in modo definitivo le procedure per l’individuazione degli alunni con BES e per la stesura del Piano Didattico Personalizzato (PDP).
La circolare ha specificato che l’attivazione di percorsi personalizzati non è vincolata alla sola presenza di una certificazione clinica, ma può avvenire sulla base di una valutazione attenta da parte del Consiglio di Classe o del team docenti della scuola primaria.
Inoltre, ha definito il PDP come uno strumento flessibile e un patto condiviso tra docenti e famiglia.
Grazie a queste note, i principi dell’inclusione hanno trovato una traduzione pratica, con la definizione dei ruoli, delle responsabilità e degli strumenti necessari.
2.3. Differenza tra Legge 104/92 (Disabilità), Legge 170/2010 (DSA) e BES
Per orientarsi nel panorama dell’inclusione scolastica, è fondamentale comprendere le distinzioni tra le diverse normative che tutelano il diritto allo studio.
Sebbene l’area dei Bisogni Educativi Speciali (BES) sia molto ampia, essa contiene al suo interno due categorie specifiche, normate da leggi apposite, che prevedono percorsi e tutele differenti.
La confusione tra questi quadri normativi può generare errori procedurali, per cui è essenziale operare una chiara distinzione:
- Legge 104/1992 (Disabilità): riguarda gli alunni che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, accertata da una commissione medica. Per questi studenti è prevista la redazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e l’assegnazione di un insegnante di sostegno;
- Legge 170/2010 (DSA): tutela specificamente gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento, come dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, diagnosticati da specialisti. Per loro, la scuola ha l’obbligo di redigere un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che include strumenti compensativi e misure dispensative;
- Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 (Altri BES): questa categoria include tutti gli altri alunni che, pur senza certificazione di disabilità o diagnosi di DSA, manifestano bisogni educativi speciali, anche transitori. Il Consiglio di Classe, in questo caso, ha la facoltà (ma non l’obbligo) di redigere un PDP.
3. Le Categorie dei Bisogni Educativi Speciali: Chi sono gli alunni con BES?
3.1. Area della Disabilità (Legge 104/92)
La prima macro-area dei Bisogni Educativi Speciali comprende gli alunni con disabilità, la cui tutela è garantita dalla Legge-quadro n. 104 del 1992.
L’accesso a questo specifico percorso di inclusione presuppone il possesso di una certificazione di disabilità, rilasciata dalle commissioni mediche competenti, che attesti una minorazione fisica, psichica o sensoriale.
Lo strumento cardine per la progettazione educativa di questi studenti è il Piano Educativo Individualizzato (PEI).
Quest’ultimo è un documento redatto dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione (GLO), che include il team dei docenti, la famiglia e le figure socio-sanitarie di riferimento.
Al suo interno si definiscono gli obiettivi didattici, gli interventi educativi, le metodologie e i criteri di valutazione, in un’ottica di sviluppo globale della persona.
L’attuazione del PEI si avvale della figura dell’insegnante di sostegno, una risorsa assegnata alla classe per favorire il processo di inclusione.
3.2. Area dei Disturbi Evolutivi Specifici
La seconda grande area dei BES è quella dei Disturbi Evolutivi Specifici, una categoria eterogenea che raggruppa diverse condizioni non riconducibili alla disabilità ai sensi della Legge 104/92.
Questi disturbi, di origine neurobiologica, interferiscono in modo significativo con una o più abilità specifiche, come l’apprendimento, l’attenzione, il linguaggio o la coordinazione motoria, a fronte di un funzionamento intellettivo generale nella norma.
Per gli studenti che rientrano in questa area, lo strumento di programmazione didattica previsto dalla normativa è il Piano Didattico Personalizzato (PDP).
All’interno di questa macro-categoria si collocano diverse tipologie di disturbo, tra cui:
- Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), disciplinati dalla Legge 170/2010;
- Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD);
- Funzionamento Intellettivo Limite (FIL), noto anche come borderline cognitivo;
- Deficit specifici nel linguaggio, nelle abilità non verbali e nella coordinazione motoria (disprassia).
Ognuna di queste condizioni richiede un’attenta osservazione da parte dei docenti e l’adozione di strategie mirate.
3.2.1. Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) rappresentano la categoria più nota all’interno dei Disturbi Evolutivi Specifici e sono disciplinati in modo puntuale dalla Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010.
Questa normativa riconosce ufficialmente quattro disturbi di origine neurobiologica, che interessano specifiche abilità in presenza di un’intelligenza nella norma.
Nello specifico, la legge identifica:
- Dislessia: un disturbo che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo scritto, che incide sulla rapidità e sulla correttezza della lettura;
- Disgrafia: una difficoltà che riguarda l’aspetto grafico-motorio della scrittura, con una grafia spesso poco leggibile e disarmonica;
- Disortografia: un disturbo della scrittura che interessa l’utilizzo corretto delle regole ortografiche e della sintassi;
- Discalculia: una difficoltà che coinvolge l’abilità di operare con i numeri, il calcolo e la risoluzione di problemi matematici.
Per tutti gli studenti con diagnosi di DSA, la scuola ha l’obbligo di redigere un Piano Didattico Personalizzato (PDP), nel quale sono indicati gli strumenti compensativi e le misure dispensative necessarie a garantire un percorso di apprendimento efficace.
3.2.2. Deficit di Linguaggio
All’interno dei Disturbi Evolutivi Specifici rientrano anche i deficit del linguaggio, condizioni che compromettono in modo selettivo le abilità di comprensione o produzione linguistica.
È importante distinguere questi disturbi, che hanno una base neurobiologica, dalle difficoltà di natura transitoria legate, per esempio, a un contesto di recente immigrazione.
Un alunno con un deficit del linguaggio può manifestare problemi nel comprendere le consegne, nel seguire le lezioni, nell’esporre oralmente i propri pensieri o nella stesura di testi scritti.
Queste difficoltà, se non gestite con interventi mirati, possono avere ripercussioni su tutte le discipline e sulla socializzazione.
Anche in assenza di una legge specifica come la 170/2010, la normativa sui BES consente al Consiglio di Classe di attivare un Piano Didattico Personalizzato (PDP), attraverso il quale programmare strategie mirate, come l’uso di supporti visivi, la semplificazione del linguaggio o la valorizzazione di canali comunicativi alternativi.
3.2.3. Deficit delle abilità non verbali
Il deficit delle abilità non verbali, noto anche come disturbo dell’apprendimento non verbale, è una condizione complessa che rientra nell’area dei Bisogni Educativi Speciali.
Si caratterizza per una spiccata discrepanza tra competenze verbali, spesso superiori alla media, e significative difficoltà nelle aree non verbali.
Gli alunni con questo profilo possono avere problemi nell’orientamento spaziale, nell’organizzazione del materiale, nella coordinazione motoria e, soprattutto, nell’interpretazione della comunicazione non verbale, come il linguaggio del corpo o le espressioni facciali.
A scuola, queste fragilità si possono tradurre in risultati scarsi in materie come la geometria o le scienze, a fronte di buone capacità di espressione orale, e in difficoltà nelle relazioni con i pari.
Sulla base di un’attenta osservazione, il Consiglio di Classe può redigere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che preveda strategie mirate, come la strutturazione dell’ambiente e un insegnamento esplicito delle competenze sociali.
3.2.4. Deficit della coordinazione motoria (Disprassia)
La disprassia, o Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione Motoria, è una condizione che rientra nell’area dei BES e che incide sulla capacità di pianificare ed eseguire movimenti complessi.
Non si tratta di un problema di debolezza muscolare, ma di una difficoltà del cervello a elaborare le informazioni necessarie per coordinare un’azione motoria in modo fluido ed efficace.
In ambito scolastico, la disprassia può manifestarsi con evidenti difficoltà nella scrittura manuale, che spesso risulta lenta e illeggibile, e nell’uso di strumenti come forbici o righe.
Anche le abilità motorie globali possono essere compromesse, con goffaggine nei movimenti, problemi durante le attività di educazione fisica e una scarsa organizzazione spaziale.
La normativa sui BES consente al team docenti di supportare questi alunni attraverso un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che può prevedere l’uso del computer per la scrittura o tempi più lunghi per le prove pratiche.
3.2.5. Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD)
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) è un disturbo neurobiologico che rientra a pieno titolo nell’area dei Bisogni Educativi Speciali.
Si manifesta attraverso una combinazione variabile di tre sintomi principali:
- disattenzione;
- iperattività;
- impulsività.
In classe, un alunno con ADHD può mostrare difficoltà a mantenere la concentrazione su un compito, a seguire le istruzioni e a organizzare le proprie attività.
L’iperattività si traduce in un bisogno costante di movimento, con l’incapacità di rimanere seduti per periodi prolungati, mentre l’impulsività porta a rispondere prima del tempo o a interrompere gli altri.
Queste manifestazioni non dipendono da una cattiva volontà dello studente, ma sono l’espressione del disturbo stesso.
Per questi alunni, il Consiglio di Classe, sulla base della diagnosi clinica, redige un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che definisce le strategie per gestire l’ambiente, i tempi e le attività, al fine di favorire l’autoregolazione e l’apprendimento.
3.2.6. Funzionamento Intellettivo Limite (FIL) o Borderline Cognitivo
Il Funzionamento Intellettivo Limite (FIL), o borderline cognitivo, definisce una condizione che si colloca in una zona di confine tra la disabilità intellettiva e la norma.
Gli alunni con FIL presentano un Quoziente Intellettivo (QI) che si attesta in una fascia compresa, indicativamente, tra 71 e 84.
A differenza dei DSA, le loro difficoltà non sono specifiche, ma si manifestano in modo generalizzato in quasi tutte le aree dell’apprendimento, con una lentezza complessiva nei processi cognitivi e nell’acquisizione delle autonomie.
A scuola, questi studenti possono faticare a comprendere concetti astratti e a pianificare il lavoro.
Il FIL rappresenta un caso emblematico per l’applicazione della normativa sui BES, poiché questi alunni non rientrano nelle tutele della Legge 104/92.
Pertanto, il Consiglio di Classe può redigere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che calibri gli obiettivi e adotti una didattica basata su esempi concreti.
3.3. Area dello Svantaggio Socio-economico, Linguistico e Culturale
La terza e ultima macro-area dei BES, introdotta dalla Direttiva del 2012, riguarda gli alunni che vivono una situazione di svantaggio a causa di fattori esterni e ambientali.
In questa categoria rientrano le difficoltà che derivano da contesti socio-economici deprivati, da differenze culturali o da ostacoli linguistici, come nel caso di alunni con cittadinanza non italiana di recente immigrazione.
La caratteristica fondamentale di questi bisogni educativi è la loro natura tipicamente transitoria.
Per questo motivo, un intervento didattico tempestivo e mirato è essenziale, perché previene la trasformazione di una difficoltà temporanea in un insuccesso scolastico cronico.
Il Consiglio di Classe, dopo un’attenta analisi della situazione, può decidere di attivare un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per un periodo di tempo limitato, con l’obiettivo di fornire allo studente gli strumenti per superare lo svantaggio e tornare a seguire il programma di classe in piena autonomia.
4. Il Piano Didattico Personalizzato (PDP): Lo Strumento per l’Inclusione
4.1. Cos’è il PDP e a cosa serve?
Il Piano Didattico Personalizzato (PDP) è il documento di programmazione ufficiale attraverso il quale la scuola definisce e attua gli interventi educativi per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (ad esclusione di quelli con disabilità certificata ai sensi della L. 104/92).
Il PDP rappresenta lo strumento che traduce l’individuazione di un bisogno in un progetto concreto e condiviso. Al suo interno vengono esplicitate le strategie didattiche, gli strumenti compensativi, le misure dispensative e i criteri di valutazione personalizzati che si intendono adottare per l’alunno.
La sua funzione più importante, tuttavia, è quella di formalizzare un patto di corresponsabilità tra il Consiglio di Classe, la famiglia e, ove possibile, lo studente stesso.
Si tratta, nel dettaglio, di un accordo garantisce che il percorso di apprendimento sia coerente ed efficace, perché unisce le competenze professionali dei docenti alla conoscenza che i genitori hanno del proprio figlio, per il raggiungimento del successo formativo.
4.2. Quando è obbligatorio e quando è facoltativo?
La normativa scolastica non prevede un’applicazione uniforme del Piano Didattico Personalizzato, ma distingue con precisione i casi in cui la sua redazione è un obbligo e quelli in cui rappresenta una facoltà.
La stesura del PDP è obbligatoria per tutti gli alunni in possesso di una diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), secondo quanto stabilito dalla Legge 170/2010.
In questa circostanza, il documento rappresenta un diritto esigibile dalla famiglia e un dovere per l’istituzione scolastica.
Per tutte le altre tipologie di Bisogni Educativi Speciali, come quelle legate a svantaggio socio-culturale, linguistico, o per disturbi come l’ADHD o il Funzionamento Intellettivo Limite, la redazione del PDP è, invece, facoltativa.
La decisione spetta al Consiglio di Classe, che valuta, sulla base di considerazioni didattiche e pedagogiche, se la formalizzazione di un percorso personalizzato sia necessaria e funzionale al successo formativo dell’alunno.
4.3. Come viene redatto: le fasi e i contenuti
La stesura del Piano Didattico Personalizzato è un processo collegiale che segue fasi ben definite, con l’obiettivo di costruire un intervento efficace e su misura.
Il percorso ha inizio con un’attenta fase di osservazione in classe da parte dei docenti, che individuano le difficoltà e i punti di forza dell’alunno.
Successivamente, la scuola avvia un dialogo fondamentale con la famiglia per condividere le osservazioni e raccogliere informazioni.
In questa fase si acquisiscono anche le eventuali diagnosi o relazioni di specialisti esterni.
Una volta raccolti tutti gli elementi, il Consiglio di Classe procede alla compilazione del documento, che per essere valido deve contenere:
- dati anagrafici dell’alunno;
- descrizione del suo funzionamento, con analisi di punti di forza e di debolezza;
- obiettivi didattici ed educativi personalizzati;
- strategie didattiche, strumenti compensativi e misure dispensative;
- criteri e modalità di verifica e valutazione.
4.4. Un esempio pratico di struttura del PDP (con template scaricabile)
Per fornire uno strumento operativo a docenti e famiglie, è utile illustrare la struttura tipica di un Piano Didattico Personalizzato.
Generalmente, un modello di PDP si articola in diverse sezioni.
Una prima parte è dedicata ai dati anagrafici e alla descrizione del profilo dell’alunno, con l’indicazione dei suoi punti di forza e delle aree di fragilità.
Il cuore del documento è la sezione sulla programmazione didattica, dove si dettagliano gli obiettivi personalizzati per ciascuna disciplina, gli strumenti compensativi e le misure dispensative concordate.
Infine, una sezione è riservata alla definizione dei criteri di valutazione e alla firma del patto di corresponsabilità da parte del Consiglio di Classe, della famiglia e del Dirigente Scolastico.
Per agevolare la compilazione, la redazione de “La Scuola Oggi” mette a disposizione un modello di PDP in formato editabile, che è possibile scaricare e adattare alle specifiche esigenze:
5. Strategie e Metodologie Didattiche per una Scuola Inclusiva
5.1. Dalla didattica tradizionale alla didattica inclusiva
L’efficacia degli interventi per gli alunni con BES non risiede solo nell’uso di strumenti specifici, ma richiede un ripensamento complessivo dell’approccio didattico.
La transizione verso una scuola realmente inclusiva si fonda sui principi dell’Universal Design for Learning (UDL), o Progettazione Universale per l’Apprendimento.
Questo modello non prevede di adattare le lezioni a posteriori per alcuni alunni, ma di progettarle fin dall’inizio in modo flessibile e accessibile per tutti.
L’UDL suggerisce di fornire molteplici forme di presentazione dei contenuti, diverse modalità di espressione per gli studenti e differenti opzioni per stimolare l’interesse e la motivazione.
Il presupposto indispensabile per l’applicazione di queste strategie è la creazione di un clima di classe positivo e accogliente, dove l’errore è considerato un’opportunità di apprendimento e la diversità è valorizzata come una ricchezza.
5.2. Metodologie efficaci per tutti gli alunni
L’adozione di un approccio inclusivo si concretizza nell’utilizzo di metodologie didattiche attive, che superano la lezione frontale tradizionale e valorizzano la partecipazione di ogni studente.
Si tratta, nello specifico, di strategie efficaci per l’intera classe che si rivelano particolarmente preziose anche per gli alunni con BES.
Tra le più consolidate figurano:
- Apprendimento Cooperativo (Cooperative Learning): gli studenti lavorano in piccoli gruppi eterogenei per raggiungere un obiettivo comune. Questa modalità sviluppa le competenze sociali e la responsabilità individuale all’interno del gruppo;
- Peer Tutoring (Tutoraggio tra pari): un alunno più competente supporta un compagno in difficoltà. Il tutoraggio rafforza le conoscenze in chi insegna e offre un aiuto personalizzato a chi apprende;
- Didattica Laboratoriale: l’apprendimento avviene attraverso l’esperienza pratica. Questo approccio basato sul “fare” favorisce la comprensione di concetti complessi e si adatta a diversi stili cognitivi;
- Flipped Classroom (Classe Capovolta): la fase di studio teorico si svolge a casa, con l’ausilio di materiali digitali. Il tempo in classe è invece dedicato ad attività pratiche, dibattiti e al supporto personalizzato del docente.
5.3. Il ruolo delle tecnologie a supporto dell’apprendimento
La transizione digitale, al centro delle riforme del PNRR per la scuola, offre strumenti fondamentali per una didattica inclusiva.
Le tecnologie rappresentano, infatti, i più efficaci strumenti compensativi a disposizione degli alunni con BES, poiché consentono di superare le difficoltà specifiche senza ridurre la complessità del compito.
Esistono software e applicazioni progettati per supportare le diverse aree di apprendimento.
Per la lettura, ad esempio, i programmi di sintesi vocale trasformano un testo scritto in audio.
Per la scrittura, gli editor con correttore ortografico e i software per creare mappe concettuali digitali sono un supporto essenziale.
Nell’area del calcolo, le calcolatrici e i fogli di calcolo aiutano a gestire le procedure.
Infine, per l’organizzazione, calendari digitali e app per la gestione dei compiti favoriscono l’autonomia.
L’integrazione di questi strumenti, in linea con il piano “Scuola 4.0” che promuove ambienti di apprendimento innovativi, mira a fornire a ogni studente i mezzi per sviluppare il proprio potenziale.
6. Strumenti Compensativi e Misure Dispensative
6.1. Cosa sono gli Strumenti Compensativi?
Gli strumenti compensativi sono tutti quei sussidi, didattici o tecnologici, che permettono a un alunno con Bisogni Educativi Speciali di aggirare le proprie difficoltà specifiche e di svolgere un compito allo stesso livello dei suoi compagni.
È fondamentale comprendere che questi strumenti non “facilitano” il lavoro, ma compensano una debolezza funzionale, esattamente come un paio di occhiali compensa un difetto visivo.
Il loro utilizzo, definito nel Piano Didattico Personalizzato (PDP), è cruciale per garantire l’autonomia dello studente e la sua piena partecipazione alle attività didattiche.
Tra gli esempi più comuni figurano:
- la sintesi vocale, che trasforma un testo digitale in audio per gli alunni con difficoltà di lettura;
- le mappe concettuali, digitali o cartacee, che aiutano a organizzare le idee e a memorizzare i concetti;
- il computer con correttore ortografico, per supportare la correttezza della scrittura;
- la calcolatrice, per gli studenti con discalculia;
- tabelle, formulari e dizionari digitali, che riducono il carico mnemonico e permettono di concentrarsi sul ragionamento.
6.2. Cosa sono le Misure Dispensative?
Le misure dispensative sono interventi educativi e didattici che consentono a un alunno con Bisogni Educativi Speciali di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del suo disturbo, risulterebbero particolarmente difficoltose e non migliorerebbero il suo apprendimento.
A differenza degli strumenti compensativi, che forniscono un supporto per eseguire un compito, le misure dispensative esonerano lo studente da una specifica attività.
Anche queste misure devono essere esplicitate nel Piano Didattico Personalizzato (PDP) e mirano a evitare situazioni di frustrazione o di inutile dispendio di energie.
Alcuni esempi pratici includono:
- la dispensa dalla lettura ad alta voce in classe e dalla scrittura veloce sotto dettatura;
- la concessione di tempi più lunghi per le verifiche scritte o, in alternativa, una riduzione della quantità di esercizi a parità di tempo;
- la possibilità di svolgere interrogazioni programmate, per evitare l’ansia legata alle prove a sorpresa;
- la riduzione del carico di compiti a casa, specialmente per il fine settimana, per non sovraccaricare lo studente;
- la possibilità di sostituire una prova scritta con una orale, come previsto anche in contesti valutativi nazionali.
6.3. Come e quando utilizzarli: la personalizzazione è la chiave
L’efficacia degli strumenti compensativi e delle misure dispensative non è automatica, ma dipende da una scelta accurata e mirata.
Non esiste un pacchetto di soluzioni standard valido per tutti gli alunni con lo stesso disturbo: la parola d’ordine è personalizzazione.
Ogni intervento deve essere calibrato sul profilo unico dello studente, sulle sue reali necessità e sui suoi punti di forza, in un’ottica che mira a “personalizzare gli apprendimenti e guidare scelte consapevoli”.
La selezione degli strumenti e delle misure più idonei è un processo che deve avvenire in sede di stesura del Piano Didattico Personalizzato (PDP) e deve essere il frutto di un dialogo tra docenti, famiglia e, se presenti, specialisti.
Il PDP diventa, quindi, il documento di riferimento che legittima e regolamenta l’uso di specifici supporti durante le attività didattiche e le prove di verifica.
L’obiettivo finale non è creare una dipendenza dallo strumento, ma promuovere l’autonomia dello studente.
7. La Valutazione degli Apprendimenti per Alunni con BES
7.1. Valutare per includere: i principi di una valutazione formativa
Un percorso di inclusione efficace non può prescindere da un profondo ripensamento dei modelli di valutazione.
È necessario superare un approccio puramente sommativo, basato sul voto numerico come unico indicatore di performance, per abbracciare una valutazione di tipo formativo.
La valutazione formativa non si limita a “misurare” il risultato finale, ma osserva e accompagna i processi di apprendimento, con l’obiettivo di fornire feedback costanti a docenti e alunni per orientare l’azione didattica.
In questa prospettiva, il focus si sposta dalla comparazione dello studente con il resto della classe alla valorizzazione dei suoi progressi individuali.
Il criterio principale diventa il percorso che l’alunno compie a partire dal suo punto di partenza e in relazione agli obiettivi definiti nel suo percorso personalizzato (PEI o PDP).
In questo modo, la valutazione cessa di essere uno strumento di selezione e si trasforma in un motore di inclusione.
7.2. Come si valuta un alunno con BES?
La valutazione di un alunno con Bisogni Educativi Speciali deve essere coerente con i principi della didattica inclusiva e strettamente collegata a quanto definito nel suo Piano Educativo Individualizzato (PEI) o Piano Didattico Personalizzato (PDP).
Il primo criterio fondamentale è la coerenza con gli obiettivi personalizzati: lo studente non viene valutato sulla base degli standard della classe, ma in funzione dei traguardi stabiliti per lui.
Questo richiede l’utilizzo di verifiche personalizzate, che possono essere “equipollenti”, ovvero con lo stesso valore di quelle della classe ma presentate in una forma diversa (ad esempio, con domande a scelta multipla invece che aperte, o con l’uso di strumenti compensativi).
Anche la possibilità di sostituire una prova scritta con una orale rientra in queste misure di supporto.
Infine, la valutazione deve considerare non solo il prodotto finale, ma anche il processo di apprendimento: l’impegno, la partecipazione, l’autonomia raggiunta e i progressi individuali diventano elementi centrali del giudizio, che assume così una dimensione globale e autenticamente formativa.
7.3. Normativa sulla valutazione per gli Esami di Stato (Primo e Secondo Ciclo)
La normativa che disciplina gli Esami di Stato del primo e del secondo ciclo d’istruzione prevede modalità specifiche per garantire a tutti gli alunni con BES di sostenere le prove in condizioni di equità.
Per gli studenti con certificazione di disabilità (Legge 104/92) o con diagnosi di DSA (Legge 170/2010), la commissione d’esame predispone prove coerenti con il percorso svolto durante l’anno, sulla base di quanto indicato nel PEI o nel PDP.
Sono ammessi l’uso degli strumenti compensativi e la concessione di tempi aggiuntivi.
È, inoltre, possibile predisporre prove equipollenti, che verificano le stesse competenze di quelle ordinarie, ma con modalità diverse.
Per i casi di disabilità più complessi, il PEI può prevedere prove differenziate che, se non riconducibili agli obiettivi ministeriali, portano al conseguimento di un attestato di credito formativo anziché del diploma.
Anche per gli altri alunni con BES, il Consiglio di Classe può prevedere strumenti e modalità personalizzate, a condizione che siano stati menzionati nel PDP.
8. Il Ruolo della Famiglia e la Collaborazione Scuola-Famiglia
8.1. L’importanza di un’alleanza educativa
Un percorso di inclusione per un alunno con Bisogni Educativi Speciali non può realizzarsi senza una solida e costante alleanza educativa tra la scuola e la famiglia.
Questo rapporto non deve essere visto come un obbligo formale, ma come una risorsa strategica fondamentale.
La famiglia, infatti, è portatrice di conoscenze insostituibili sull’alunno: la sua storia, i suoi interessi, le sue reazioni emotive e le strategie che funzionano in ambito domestico.
Queste informazioni, integrate con l’osservazione e la competenza professionale dei docenti, sono essenziali per la costruzione di un PDP o PEI realmente efficace.
A livello istituzionale, questa collaborazione trova fondamento nel Patto di Corresponsabilità Educativa, un documento che impegna entrambe le parti al dialogo e al rispetto reciproco dei ruoli.
Un’alleanza forte e costruttiva garantisce coerenza tra l’intervento a scuola e quello a casa, e costituisce il pilastro su cui si regge il successo formativo dello studente.
8.2. Come i genitori possono supportare i figli a casa
Il ruolo della famiglia è determinante anche nel contesto domestico, dove è possibile creare le condizioni ideali per favorire l’apprendimento e il benessere psicologico dell’alunno.
Un primo passo fondamentale è la creazione di un ambiente di studio sereno e organizzato, con uno spazio dedicato, privo di distrazioni e con routine definite per lo svolgimento dei compiti.
Questo aiuta a ridurre l’ansia e a migliorare la concentrazione.
In secondo luogo, è essenziale valorizzare l’impegno e i progressi individuali, anche i più piccoli, piuttosto che focalizzarsi unicamente sul risultato o sul voto.
Lodare la perseveranza e lo sforzo contribuisce a costruire un’autostima solida, che non dipende esclusivamente dalla performance scolastica.
Infine, è cruciale mantenere un dialogo aperto e non giudicante con i propri figli.
Ascoltare le loro difficoltà, celebrare i loro successi e parlare apertamente del loro modo di apprendere li aiuta a sviluppare consapevolezza e a non vivere la propria condizione come un limite insuperabile.
8.3. Consigli per una comunicazione efficace con gli insegnanti
Una comunicazione efficace tra genitori e insegnanti è un elemento cardine dell’alleanza educativa, specialmente in presenza di un Bisogno Educativo Speciale.
Per rendere i colloqui produttivi, è utile che i genitori si preparino in anticipo, magari con un elenco di osservazioni, domande o dubbi specifici da discutere.
Presentarsi all’incontro con una conoscenza chiara di quanto riportato nel PDP o nel PEI permette un confronto più mirato e costruttivo.
È altrettanto importante condividere le proprie osservazioni sul comportamento del figlio a casa, non come una critica al lavoro della scuola, ma come un contributo informativo per avere un quadro completo.
L’approccio non deve essere conflittuale, ma collaborativo.
L’obiettivo comune è il benessere dello studente e un dialogo basato sulla fiducia reciproca, sulla trasparenza e sulla condivisione di informazioni permette di individuare le strategie più efficaci in modo sinergico, a vantaggio del percorso formativo dell’alunno.
9. Le Figure di Riferimento per l’Inclusione
9.1. L’Insegnante Curricolare e l’Insegnante di Sostegno
Il processo di inclusione scolastica si fonda sulla stretta collaborazione tra tutti i docenti della classe, in base al principio della contitolarità educativa.
Si tratta, nel dettaglio, di un principio che stabilisce che la responsabilità del percorso formativo di ogni alunno, incluso quello con disabilità, non è delegata al solo insegnante di sostegno, ma è condivisa dall’intero Consiglio di Classe.
Ogni insegnante curricolare ha, pertanto, il dovere di progettare e attuare una didattica che sia accessibile a tutti.
L’insegnante specializzato per le attività di sostegno è una figura professionale con competenze specifiche, la cui formazione mira a “rispondere alle esigenze degli alunni con disabilità, sviluppando competenze mirate e una solida base educativa e normativa”.
Il suo ruolo non è quello di occuparsi esclusivamente dell’alunno con disabilità, ma di agire come una risorsa per l’intera classe, al fine di facilitare l’inclusione e promuovere strategie didattiche efficaci per tutti gli studenti.
9.2. Altre figure professionali: un lavoro di rete
Oltre ai docenti, il percorso di inclusione si avvale di una rete di figure professionali con competenze diverse, che operano in sinergia per il benessere dell’alunno.
Questo approccio integrato garantisce un supporto completo, che va oltre l’aspetto puramente didattico.
Tra le figure principali si trovano:
- l’Assistente all’autonomia e alla comunicazione: una figura non docente, fornita dagli Enti Locali, che affianca gli alunni con disabilità sensoriali o gravi. Il suo compito è facilitare la comunicazione e supportare l’autonomia personale e fisica dello studente;
- lo Psicologo Scolastico: un professionista il cui servizio di supporto psicologico è in fase di avvio sperimentale, grazie a uno stanziamento previsto dalla Manovra 2025 di 10 milioni di euro per il prossimo anno. Offre supporto per la gestione di dinamiche relazionali, la prevenzione del disagio e la promozione del benessere;
- il Referente d’Istituto per i BES/DSA: un docente con formazione specifica che coordina le azioni di inclusione all’interno della scuola. Si occupa della documentazione, offre consulenza ai colleghi e funge da collegamento con le famiglie e i servizi sanitari.
9.3. Il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI)
A livello di singola istituzione scolastica, l’organo strategico che progetta e coordina le politiche per l’inclusione è il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI).
Si tratta di un organo collegiale la cui composizione può variare, ma che tipicamente include il Dirigente Scolastico, i docenti referenti per l’inclusione, insegnanti curricolari e di sostegno, rappresentanti del personale ATA, dei genitori e, se necessario, specialisti dell’azienda sanitaria locale.
La funzione principale del GLI non è occuparsi dei singoli casi, ma analizzare lo stato dell’inclusione all’interno dell’istituto. Sulla base di questa analisi, il GLI ha il compito di elaborare e proporre al Collegio dei Docenti il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI), ovvero il documento che fotografa le risorse e le criticità della scuola e definisce gli obiettivi di miglioramento e le azioni concrete da intraprendere per l’anno scolastico successivo.
Domande Frequenti (FAQ) sui Bisogni Educativi Speciali (BES)
Cosa significa esattamente la sigla BES?
BES sta per “Bisogni Educativi Speciali”. È una macro-categoria pedagogica che include qualsiasi difficoltà evolutiva di apprendimento, permanente o transitoria. Non si riferisce solo a disturbi certificati, ma a ogni situazione in cui uno studente necessita di un approccio didattico personalizzato per realizzare il suo potenziale formativo.
Per attivare un percorso per BES è sempre necessaria una diagnosi medica?
No. La diagnosi medica è necessaria per la Legge 104/92 (disabilità) e per la Legge 170/2010 (DSA). Tuttavia, la Direttiva Ministeriale del 2012 permette al Consiglio di Classe di individuare un Bisogno Educativo Speciale anche in assenza di certificazione, sulla base di considerazioni puramente didattiche e pedagogiche (ad esempio, per svantaggio socio-culturale o linguistico).
Che differenza c’è tra PEI e PDP?
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è il documento di programmazione previsto dalla Legge 104/92 per gli alunni con disabilità certificata. Il Piano Didattico Personalizzato (PDP), invece, è previsto per gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e per tutte le altre forme di BES individuate dal Consiglio di Classe. Il PEI ha un approccio più globale, che include anche la dimensione sociale e dell’autonomia.
La scuola è sempre obbligata a redigere un PDP?
La redazione del PDP è obbligatoria solo per gli studenti con diagnosi di DSA (Legge 170/2010). In tutti gli altri casi di BES (come ADHD, Funzionamento Intellettivo Limite o svantaggio socio-economico), la stesura del PDP è facoltativa e la decisione spetta al Consiglio di Classe.
L’insegnante di sostegno è il docente del singolo alunno con disabilità?
No. In base al principio di contitolarità educativa, l’insegnante di sostegno è una risorsa specializzata assegnata all’intera classe. Il suo compito è collaborare con i docenti curricolari per creare un ambiente e strategie inclusive per tutti. La sua formazione specialistica mira a “rispondere alle esigenze degli alunni con disabilità, sviluppando competenze mirate e una solida base educativa e normativa” 1 a beneficio di tutta la classe.
Un alunno straniero è automaticamente un alunno con BES?
Non automaticamente, ma può rientrare nell’area dei BES se la sua difficoltà linguistica e culturale è tale da ostacolare l’apprendimento. In questo caso, si tratta di un bisogno di natura transitoria. Il Consiglio di Classe può attivare un PDP a tempo determinato per supportare l’apprendimento della lingua italiana e l’integrazione.
Mio figlio può usare la calcolatrice o il computer durante le verifiche?
Sì, se questi strumenti sono stati indicati come strumenti compensativi all’interno del suo PDP. L’uso di tali strumenti durante le verifiche e le attività didattiche è un diritto dello studente, la cui applicazione è regolamentata da quanto concordato tra scuola e famiglia nel PDP.
Come si svolge l’Esame di Stato per un alunno con BES?
La normativa prevede prove personalizzate e coerenti con il percorso svolto. Per gli alunni con DSA o altri BES, sono ammessi tempi aggiuntivi e l’uso degli strumenti compensativi previsti nel PDP. Per gli alunni con disabilità, si possono predisporre prove equipollenti o, nei casi più complessi, prove differenziate che portano a un attestato di credito formativo.
Chi è il Referente d’Istituto per l’inclusione?
È un docente dell’istituto con una formazione specifica sui temi dei BES e dell’inclusione. Funge da coordinatore interno, offre consulenza ai colleghi, gestisce la documentazione (PDP/PEI) e si relaziona con le famiglie e i servizi sanitari territoriali per garantire un approccio coordinato.
Cosa può fare un genitore se ritiene che suo figlio abbia bisogno di aiuto ma la scuola non interviene?
Il primo passo è chiedere un colloquio con il coordinatore di classe o con i docenti per esporre le proprie osservazioni in modo costruttivo. È importante avviare un dialogo e richiedere un’osservazione più attenta in classe. Se il dialogo non porta a risultati, ci si può rivolgere al Dirigente Scolastico o al Referente d’Istituto per l’inclusione.
La diagnosi di DSA rilasciata da uno specialista privato è valida per la scuola?
Sì, ma a determinate condizioni. La Legge 170/2010 prevede che la diagnosi di DSA, per essere valida ai fini scolastici, debba essere rilasciata dal Servizio Sanitario Nazionale (ASL) o da specialisti e strutture private accreditate dalle Regioni. È quindi fondamentale che la famiglia verifichi che il professionista o il centro privato possieda l’accreditamento regionale. In assenza di tale requisito, la scuola non è tenuta ad attivare formalmente le misure previste dalla legge.
Il PDP deve essere rifatto ogni anno?
Sì, il Piano Didattico Personalizzato è un documento dinamico e non statico. Va redatto all’inizio di ogni anno scolastico, di norma entro i primi tre mesi, perché le necessità dell’alunno, le strategie efficaci e gli obiettivi possono cambiare. Inoltre, il PDP deve essere monitorato costantemente e può essere modificato anche in corso d’anno, qualora il Consiglio di Classe o la famiglia ne ravvisino la necessità, sempre attraverso un dialogo condiviso.
La famiglia può rifiutare la stesura di un PDP?
La situazione è diversa a seconda del caso. Per gli alunni con diagnosi di DSA, il PDP è un diritto e un’opportunità previsti dalla legge. Se la famiglia si oppone, la scuola non può imporre il documento, ma è tenuta a verbalizzare il rifiuto e ad attuare comunque le strategie didattiche inclusive che ritiene opportune. Per gli altri BES, la cui redazione del PDP è facoltativa, il parere contrario della famiglia è vincolante e impedisce alla scuola di formalizzare il piano.